La situazione attuale mette in crisi una concezione dell’intellettuale, che si è consumata, si è realizzata sulla scena politica in questo ultimo anno. La situazione adesso è determinata da un fatto che non va sopravvalutato né sottovalutato; di fronte a un’esplicitazione delle tendenze autoritarie che vanno manifestandosi nella realtà italiana e che hanno elementi di corrispondenza con la situazione generale, si può parlare di una tendenza alla germanizzazione molto esplicita: le forze politiche a supporto di questa strategia autoritaria sono ampie. Mai fino a oggi s’è creato un tipo di unanimismo politico però, d’altra parte, non si devono dimenticare i rapporti di rottura tra la politica del Pci, cioè della sinistra nello stato, e gli intellettuali e neppure le contraddizioni estremamente ampie. Ciò va valutato in un duplice senso. In un primo senso, che la stessa prospettiva del dissenso politico acquista una rilevanza che non aveva in passato. Oggi il dissenso ha una valenza esplicitamente politica, perché nella situazione italiana l’opposizione politica si manifesta come dissenso intellettuale più che come opposizione politica di larghi strati sociali. Non c’è una organizzazione politica del dissenso a livello di partiti e sindacati. C’è però una rottura dell’apparato egemonico di organizzazione del consenso su cui il Pci aveva continuato a contare. È chiaro che una situazione del genere determina una crisi del dissenso “sociale”, nel senso che il pensiero critico non ha referenti sociali. Non credo che non abbia referenti sociali in senso assoluto, i referenti sociali ci sono ma rientrano nelle forme di organizzazione politica di questi ultimi. La posizione dell’intellettuale non va sottovalutata né mitizzata. Oggi è mitizzata da chi ritiene che l’intellettuale debba solo manifestare il dissenso, senza problemi di collegamento con le forze sociali: perché una radice materialistica del dissenso c’è, si tratta di far sì che tale radice si manifesti. Allora la funzione del pensiero antico è finita, e non è che la totalizzazione autoritaria della società sia un processo che incontri notevoli resistenze, cosa che è dimostrata da quanto accade in questi giorni. Erroneo è confondere la mancanza di organizzazione politica dell’opposizione con la mancanza delle radici materiali dell'opposizione. Non è che la crisi dell’intellettuale organico sia una crisi del rapporto politico dell’intellettuale, è politico come prima, soltanto la funzione è quella di organizzare il dissenso, nel senso che deve trovare una formulazione politica. Quindi non è nella critica della politica in quanto tale la funzione dell’intellettuale, ma nella critica delle attuali formule della politica. Non credo che la politica sia una categoria così totale che possa essere corresponsabilizzata totalmente nelle forme attuali di manifestazione, né credo, d’altra parte, che i movimenti sociali antagonisti di questi anni abbiano espresso una critica della politica in quanto tale. Essi hanno espresso una critica delle forme storiche della politica, ma non possono riproporre che un’altra forma di mediazione politica nel momento che sono movimenti politici. Non credo abbiano santificato un rifiuto in sé della politica, visto che sono movimenti politici. Secondo punto perciò, che riguarda il problema politico più specifico, di come, cioè, ci si ponga di fronte a un processo di riduzione dell’universo politico, in cui la falsa alternativa è “con lo stato o con le Br”, e che quindi tende a chiudere i margini di una critica che non s’identifica né con lo stato in quanto tale, né con l’analisi antiquata, e di stampo marxista leninista, della società, che sta alla base dell’ideologia delle Br. È chiaro che l’unica prospettiva da mantenere aperta è il tentativo di impedire questa chiusura, quindi di mantenere aperta questa divaricazione. Su questo piano è inutile dire quali siano le contraddizioni della sinistra storica del Pci, che esprime posizioni tendenti a identificare l’organizzazione sociale con questo stato e, quindi, all’interno di una restaurazione autoritaria. Vale la pena di rilevare gli errori della “nuova sinistra”. Anche qui c’è una sottovalutazione notevole dei fenomeni di organizzazione di una società capitalista. Si identifica lo stato con la democrazia politica. Bisogna lottare contro lo stato, per la democrazia politica, cioè scindere i due momenti. L’analisi classica della sinistra di classe è stata quella che la democrazia politica fosse la forma più raffinata di comando dei partiti della borghesia. Le tendenze dello stato autoritario oggi mostrano che lo stato tardo-capitalistico non può sopportare le forme di organizzazione di democrazia politica e proprio le tendenze autoritarie evidenziano la volontà di limitare le forme potenzialmente emancipative della democrazia politica. Oggi la “nuova sinistra” lotta contro le riforme autoritarie, le leggi eccezionali, la riduzione dei margini di organizzazione politica e per un sistema politico aperto. La democrazia autoritaria invece ha bisogno di un sistema politico chiuso altamente selettivo, dove i bisogni sociali trovano espressione attraverso i grandi partiti di massa organizzati autoritariamente. Su questo punto può nascere una prospettiva emergente, quanto tale prospettiva abbia delle forme di organizzazione politica immediata che non è dato vedere. Questo dimostra la crisi del rapporto di organicità partito-intellettuale verificatosi negli ultimi vent’anni, all’interno della crisi di tale rapporto la funzione dell’intellettuale che dissente è una funzione materiale di aggregazione politica, oltre che di elaborazione critica, per cui la radice materiale della funzione c’è, la funzione non è da confinare nell’ambito di una divaricazione antologica non colmabile.



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